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Alla comunità dell’Istituto Comprensivo “Devitofrancesco-Giovanni XXIII-Binetto”

Oggi siamo di fronte ad una enorme confusione di ruoli e rispetto di essi, germinata dal fatto che molti ritengono di essere onnipotenti e di poter scrivere sui social in maniera incontrollata fino a compiere reati di diffamazione o oltraggio a pubblico ufficiale senza conseguenze. Questo stato di cose, accresciuto dall’idea che non esista il senso del limite, determina attacchi di varia natura nei confronti del sistema scuola e della nostra in questo particolare frangente storico. I filosofi del passato, valga per tutti Socrate, erano soliti far coincidere la virtù dei giovani nel “nulla di troppo” a significare che serve un equilibrio ed un limite in ogni azione che si compie… Quanto gioverebbe ai nostri giorni una lettura dei classici! Quanti insegnamenti nel “nulla di troppo”!

Alla ilarità e alla polemica sterile dei Social preferisco, infatti, altre letture perché sento ancora il bisogno di commuovermi piuttosto che di ridere o colpire alle spalle…e solo con i grandi spiriti della storia umana accade ciò.  Vi esorto, quindi, a leggere questo tema di quinta elementare di Antonio Gramsci.

Una vera lezione sul senso dello studio, dell’applicazione costante e del sacrificio che esso richiede, una risposta a tutti coloro i quali scrivono sui social a “proposito” della “sordità” della nostra scuola…

Il tema era questo: ”Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse espresso il proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli rispon­deresti?”

Ghilarza, addì 15 luglio 1903

Carissimo amico,

Poco fa ricevetti la tua carissima lettera, e molto mi rallegra il sapere che tu stia bene di salute.

Un punto solo mi fa stupire di te; dici che non ripren­derai più gli studi, perché ti sono venuti a noia. Come, tu che sei tanto intelli­gente, che, grazie a Dio, non ti manca il necessario, tu vuoi abbandonare gli studi?

Dici a me di far lo stesso, perché è molto meglio scorrazzare per i campi, andare ai balli e ai pubblici ritrovi, anziché rinchiudersi per quattro ore al giorno in una camera, col maestro che ci predica sempre di studiare perché se no reste­remo zucconi. Ma io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna.

Quanti ragazzi poveri ti invidiano, loro che avrebbero voglia di studiare, ma a cui Dio non ha dato il necessario, non solo per studiare, ma molte volte, neanche per sfamarsi.

Io li vedo dalla mia finestra, con che occhi guardano i ragazzi che passano con la cartella a tracolla, loro che non possono andare che alla scuola serale.

Tu dici che sei ricco, che non avrai bisogno degli studi per camparti, ma bada al proverbio “l’ozio è il padre dei vizi.”

Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. Ricordati del signor Fran­cesco; egli era figlio di una famiglia abbastanza ricca; passò una gioventù brillan­tissima, andava ai teatri, alle bische, e finì per rovinarsi completamente, ed ora fa lo scrivano presso un avvocato che gli da sessanta lire al mese, tanto per vivacchiare.

Questi esempi dovrebbero bastare a farti dissuadere dal tuo proposito.

Torna agli studi, caro Giovanni, e vi troverai tutti i beni possibili.

Non pigliarti a male se ti parlo col cuore alla mano, perché ti voglio bene, e uso dire tutto in faccia, e non adularti come molti.

Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal

Tuo aff.mo amico Antonio

Antonio Gramsci